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SESA SPA di Este: un approfondimento tra storia, arte contemporanea e il rifiuto

SESA SPA di Este: un approfondimento tra storia, arte contemporanea e il rifiuto – parte seconda

Futurismo, Dadaismo, l’arte della plastica e del ferro: un voler uscire dall’arte classica per negare la funzione primaria degli oggetti di tutti i giorni

Nel secondo capitolo di questo nostro studio dettagliato, abbiamo l’intenzione di condurvi in un viaggio attraverso il tempo, esplorando la storia dell’arte visiva contemporanea. Questo viaggio ci permetterà di scoprire come oggetti che normalmente consideriamo rifiuti o immondizia, siano stati trasformati in opere d’arte di grande impatto emotivo. Attraverso l’analisi di autori e opere rappresentative, potremo comprendere come questi materiali apparentemente insignificanti siano stati utilizzati per creare pezzi artistici che sfidano le nostre percezioni convenzionali. Questo approccio all’arte non solo ci offre una nuova prospettiva sui materiali che usiamo quotidianamente, ma ci invita anche a riflettere sulla nostra relazione con l’ambiente e sulla sostenibilità. In questo modo, l’arte diventa un potente strumento di sensibilizzazione e di cambiamento sociale.

La tecnica del collage vista attraverso i futuristi italiani

Anche i futuristi italiani utilizzano il collage per rompere con la tradizione e per dar vita a un’arte che fosse una “ricostruzione futurista dell’universo”, in sintonia con l’esperienza della velocità, del progresso e del cambiamento. Per esempio nel 1912 Gino Severini aggiunge alla sua Ballerina blu delle paillettes sul vestito dipinto per migliorare la rifrazione della luce.

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Gino Severini, Ballerina blu, 1912, Collezione Peggy Guggenheim

È però il movimento del Dadaismo a portare alle estreme conseguenze la critica al sistema dell’arte. È sempre il Dada a spalancare le porte al rifiuto e a riconoscere in quest’ultimo in maniera più decisa delle opportunità per comunicare un messaggio. Di questa cultura sono risultato le note opere Ruota di bicicletta (1913) e Fontana (1917) entrambe di Marcel Duchamp. 

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Marcel Duchamp, 1913, Ruota di bicicletta

In entrambe le opere occorre notare come gli oggetti diventino qualcosa di diverso rispetto alla loro natura e quindi assumano importanza procedendo con la negazione della funzione per cui sono stati creati.

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Marcel Duchamp, 1917, Fontana

Come annota Walter Benjamin nel 1936, nell’epoca della riproducibilità tecnica non sussiste più l’unicum artistico con la sua originalità e la sua aura ma subentra una moltiplicazione seriale dell’opera d’arte che da un lato permette una maggiore democratizzazione della ricerca artistica e una maggiore fruizione, dall’altro però svaluta l’idea di bellezza estetica e anche di creazione manuale. 

Le prime forme di plastica diventano opere d’arte grazie alla curiosità di sperimentare degli artisti

A partire dagli anni Venti del Novecento, la plastica assume valore come materiale artistico, in funzione della sua trasparenza, malleabilità e capacità di assumere diversi aspetti. Naum Gabo, artista americano ma russo di nascita, fu uno dei primi a utilizzare la plastica nelle sue opere. La plastica stava appena diventando disponibile in commercio e i costruttivisti come Gabo, appunto, erano interessati a utilizzare nuovi materiali per unire arte e vita quotidiana. Rappresentativa è Constructed Head n.2 che l’artista russo ha realizzato in ben sette versioni, ci riagganciamo quindi alle parole di Benjamin sulla moltiplicazione seriale dell’opera d’arte. Queste versioni sono tutte simili nel design – un busto geometrico di una donna composto da molti pezzi combinati – ma variano in dimensioni e materiali. È proprio la versione datata 1923-24 a essere realizzata in avorio rodoide (un nome commerciale per i primi fogli di cellulosa).

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Naum Gabo, 1923-24, Constructed Head n.2

La scultura è una testa realizzata con fogli di celluloide semitrasparente incastrati tra di loro a formare delle angolature diverse e dei giochi interessanti di pieni e vuoti. Sulla base l’artista ha applicato dei ritagli di plastica nei punti più salienti per dare caratterizzazione alla fisionomia del volto. 

Nelle sue costruzioni, Gabo ha cercato di creare il senso di uno spazio definito senza racchiuderlo o delimitarlo per questo realizzò delle strutture di plastica astratte unite a diversi materiali quali ferro, nylon, metallo. Per raggiungere il suo obiettivo, Gabo prediligeva materiali trasparenti. Per esempio, per realizzare l’opera Torison, scultura basata su trasparenze e ombre, del 1936 (ne costruì varie versioni dal 1928-36), l’artista utilizza il perspex, una sorta di plexiglass, in quanto più trasparente e malleabile di altri materiali plastici.

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Naum Gabo, 1936, Torison

La rinascita dell’arte del riciclo: Il boom della scultura di rottami negli anni ’50

David Smith, scultore americano dell’espressionismo astratto, nei primi anni Cinquanta propone un nuovo modo di fare scultura, che prende il nome di “junk sculpture”. Si tratta di una scultura composta senza utilizzare materiali tradizionali, lavorando invece con il ferro saldato e impiegando materiali di recupero e scarti di lavorazione industriale come in Hudson River Landscape (1951), opera con cui Smith inaugura quello che lui chiama il “drawing in space”, cioè la trasposizione nello spazio di ciò che in genere viene rappresentato in un foglio di carta, in questo caso il panorama del fiume Hudson.  

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David Smith, 1951, Hudson River Landscape

L’opera è costituita da barre di acciaio saldate insieme a formare una struttura rettangolare, che ricorda la superficie di un foglio o di una tela, all’interno curve e anelli che ricordano i tratti di una matita quando disegna su un foglio bianco. 

L’esempio in Italia di queste ricerche e sperimentazioni, è portato da Ettore Colla che salda parti meccaniche di recupero con cui costruisce forme monumentali astratte, caratterizzate da ritmo e compostezza formale. 

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Ettore Colla – rispettivamente Meridiana quadrata del 1968 – Orfeo del 1956 – Piccola cattedrale del 1966

“Il mio primo incontro con i rottami di ferro è avvenuto quasi subito dopo la guerra, nei luoghi dove si è combattuto e nei centri dove si raccoglieva e si ammassava tutto ciò che il conflitto aveva potuto scheletrire e frantumare. Mi sono così trovato di fronte al drammatico e fascinoso spettacolo dei materiali dilaniati, aggrovigliati, contorti nelle più strane forme e alla presenza di una realtà fino a quel punto sconosciuta. Arpioni, tubi, picconi, bulloni, ruote, morse, chiodi, paletti […]. Dinanzi a questo mondo dissepolto, disgregato, aperto alla più gelida verità, mi è nata l’idea di realizzare le immagini che vedete e, trasferiti allo ‘studio’ i prezzi ritenuti idonei al mio lavoro, di provvedere all’innesto di elementi che venivano a formare, nella loro composizione, personaggi e simboli noti e sconosciuti. […]” – Colla. 

Leggi: SESA SPA di Este: un approfondimento tra storia, arte contemporanea e il rifiuto – parte prima

Bibliografia 

F. BONAMI, Arte contemporanea: duemila, Mondadori Electa, Milano 2008 

S. BORDINI, Arte contemporanea e tecniche, Carocci, Roma 2007 

N. BOURRIAUD, Estetica relazionale, Postmedia, Milano 2010 

M. L. CIMINELLI, D’incanto in incanto: storia del consumo di arte primitiva in Occidente, CLUEB, Bologna 2008 

J. CLAIR, Marcel Duchamp il grande illusionista, Abscondita, Milano 2003 

A. DETHERIDGE, Scultori della speranza: l’arte nel contesto della globalizzazione, Einaudi, Torino 2012 

G. GARZIA, E. MARCHETTI, G. L. TUSINI, Rifiuti e società contemporanea. Arte, storia e regole giuridiche, Aracne, Roma 2012 

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